IL SACRIFICIO DEI FRATELLI DURANTE
Giovanni De Blasis
Quella che segue è la storia poco conosciuta di due giovani partigiani, Mario e Bruno Durante, i quali furono catturati il 1° maggio 1944 a Meta di Civitella Roveto (AQ) e portati in un fienile a Tagliacozzo, dove subirono immani torture per opera delle SS, ma non rivelarono l’esistenza dell’altro fratello Faustino, anch’egli partigiano, né il generoso aiuto che la popolazione di Meta prestava ai prigionieri alleati evasi dai campi di concentramento abruzzesi. Al prezzo della loro vita salvarono così quella del fratello, quella degli abitanti del villaggio di Meta -che avrebbero rischiato di subire la stessa sorte toccata poi agli abitanti di Marzabotto-, ed evitarono la cattura di militari alleati e italiani sbandati. Caricati su un camion all’imbrunire di un giorno della fine di maggio 1944 furono fatti sparire nel nulla dagli aguzzini nazisti. Si disse che furono uccisi e sepolti nelle campagne intorno ad Avezzano, ma la loro tomba non fu mai trovata.
LA FAMIGLIA DURANTE
I fratelli Mario, Bruno e Faustino Durante nacquero a Balsorano, in provincia di L’Aquila, rispettivamente il 14 giugno 1918 , il 14 settembre 1920 e l’8 giugno 1923 ed erano figli di Antonio e Violetta De Blasis, entrambi maestri di scuola elementare.
Antonio Durante era originario di Pietracupa, in provincia di Campobasso, e giunse a Balsorano nel 1910, al seguito del padre che qui aveva vinto un concorso di segretario comunale. Violetta De Blasis, invece, proveniva da Meta, una frazione di Civitella Roveto in provincia di L’Aquila. I due si sposarono il 4 settembre 1916.
Antonio Durante per le sue idee politiche fu sottoposto ben presto al controllo di polizia e schedato presso il Casellario Politico Centrale del Ministero degli Interni.
«All’inizio della guerra Europea [la prima guerra mondiale, n.d.r.] aveva ancora sentimenti patriottici, fu soldato nel 13° Fanteria, ma verso la fine della guerra mostrò subito il cambiamento manifestando idee socialiste ed infine professandosi comunista. Di tali teorie fece propaganda attiva raccogliendo numerose adesioni fra la popolazione di Balsorano […]. Fondò due cooperative una di consumo ed una di costruzioni e lavoro facendosi nominare Presidente […]. Nel 1921 fondò gli Arditi del Popolo […]. Nell’estate 1922 fondatasi la Sezione fascista in Balsorano il Durante fu combattuto aspramente e sulla fine dell’anno chiese ed ottenne il trasferimento a Scurcola Marsicana» . Fu denunciato presso il Tribunale di Avezzano per omessa denuncia di armi e per il reato di incitamento all’odio di classe, ma in entrambi i casi fu prosciolto. Si disse che anche la moglie, Violetta De Blasis, fosse una «fervente socialista» e che avesse «coadiuvato il marito in ogni circostanza», ma il suo impegno politico, se realmente ci fu, rimase senza dubbio meno rilevante di quello del consorte . Nel 1928 Antonio Durante si trasferì a Roma con tutta la famiglia e andò ad abitare al quartiere S. Giovanni, in via Taranto n. 57, ma tutti gli anni tornava a Meta di Civitella Roveto con figli, nipoti e cognati per trascorrervi le vacanze estive. Segnalava il Sottoprefetto di Avezzano Rapisarda che tutta la popolazione di Meta, ad eccezione di un limitato numero di persone, per effetto della sua propaganda era «divenuta antifascista ed apertamente ostile a tutto ciò che emana[va] dal fascismo», tanto che era arrivata a vietare al concerto bandistico di intonare l’inno fascista durante le feste patronali del mese di agosto.
IL RITORNO A META NELL'ESTATE DEL 1943
Troviamo a Meta tutti i membri della famiglia Durante nei fatidici giorni del 25 luglio e dell’8 settembre 1943. Mancava solo Bruno, il quale, dopo aver frequentato un corso di aspirante Guardiamarina presso l’Accademia Militare di Livorno, si trovava a Portorose. All’annuncio dell’armistizio, dopo aver sabotato con alcuni compagni dei mezzi navali militari di piccolo cabotaggio ancorati nel porto, si imbarcò col suo comandante per raggiungere l’Italia meridionale e riunirsi all’esercito di Badoglio, ma, giunto all’altezza di Ancona, decise di sbarcare e in abiti borghesi raggiunse la famiglia a Meta. Mario si sarebbe dovuto laureare in Giurisprudenza nel giugno dell’anno seguente, mentre Faustino era studente in Medicina presso l’Università di Roma. Entrambi però avevano dovuto sospendere gli studi a causa della guerra.
Il villaggio di Meta, posto ai piedi dei Simbruini, la catena montuosa occidentale a ridosso della Valle Roveto, ad un’altezza di 1.050 metri s.l.m., priva come era di strada carrozzabile, di servizio telefonico e di telegrafo, fu per molte settimane fuori dal controllo tedesco e rappresentò un rifugio ideale, così come gli altri paesi montani della Valle, per i numerosi prigionieri alleati fuggiti dai campi di concentramento dopo l’armistizio e per i soldati italiani sbandati che desideravano recarsi al sud per ricongiungersi con le truppe anglo americane o semplicemente con le famiglie.A partire dal 17 settembre 1943 , Meta fu letteralmente invasa da frotte di prigionieri alleati di varie nazionalità fuggiti dal campo di concentramento di Avezzano: inglesi, polacchi, sudafricani, indiani, iugoslavi, neozelandesi, americani e francesi. Casa Durante divenne un vero e proprio centro di accoglienza e di smistamento: i fuggiaschi venivano assistiti e rifocillati dai componenti della famiglia - Mario, Bruno e Faustino in testa - e poi avviati alle varie famiglie di Meta, che avevano espresso il desiderio di ospitare almeno un fuggiasco . «I prigionieri ven[ivano] accolti senza paura da tutte le mamme del paese, le quali ved[eva]no nel viso di ciascuno di essi quello dei propri figlioli lontani, che forse senza dubbio vag[avano] anch’essi di paese in paese. Ogni mamma, sia anche povera, [dava] loro quanto [aveva] di meglio, cerca[va] di sollevare i loro animi con quella offerta semplice e spontanea che è propria delle persone umili. Il prigioniero comprende[va] tutto ciò e anche se non sa[peva] esprimersi in italiano, sul suo viso si legge[va] tutta la riconoscenza».
Oggi non si è in grado di calcolare con precisione quanti furono i prigionieri che passarono per casa Durante e per Meta. Non si dovrebbe andare molto lontani dal vero se si afferma che si trattò di molte decine o di qualche centinaio.
In quei giorni iniziò anche l’attività clandestina e partigiana dei fratelli Durante. Erano venuti in contatto con ufficiali alleati presenti nella zona ed erano muniti di una radio ricetrasmittente, con la quale segnalavano agli alleati i movimenti delle colonne tedesche che transitavano nel fondovalle . Infatti la Valle Roveto, dopo la formazione della linea Gustav, rappresentava la retrovia del fronte di Cassino e la principale via di rifornimento per le truppe tedesche che vi combattevano. I movimenti delle colonne erano facilmente controllabili da quel balcone naturale che è Meta, dominante un tratto molto lungo della strada e della ferrovia poste a fondovalle. Bruno, che era guardiamarina, si era messo a fare l’istruttore ai compagni e ai fratelli e aveva insegnato loro a mettere le mine e a disinnescare quelle che i tedeschi avrebbero posto sotto i ponti stradali e ferroviari, nelle gallerie o nelle centrali idroelettriche in caso di una loro ritirata. Progettavano anche di fermare i tedeschi in corrispondenza della stretta gola di Pescocanale, a sud di Capistrello, nel momento in cui si sarebbero ritirati, con l’aiuto di truppe alleate appositamente paracadutate.
I tedeschi, martellati dagli aerei alleati mentre transitavano in Valle Roveto, cercavano con insistenza gli informatori che attraverso le radio ricetrasmittenti segnalavano i movimenti dei loro automezzi diretti a Cassino. La mattina del 21 marzo 1944 circondarono e perquisirono l’abitazione dei Durante, ma non trovarono nulla di compromettente . Cercarono poi di catturare un ufficiale iugoslavo, anche egli munito di ricetrasmittente, che sapevano nascosto in alcuni casolari posti a poca distanza da Meta, in località Orto a Terra, ma furono beffati dall’astuto graduato che, travestito da contadino, riuscì a fuggire portandosi dietro anche il prezioso strumento.
Alla metà di aprile del 1944 Faustino Durante, insieme ad un giovane di Meta, Giovanni Petricca, fu incaricato di recarsi a Filettino, nel versante laziale della catena dei Simbruini, per incontrarsi con i partigiani di quelle contrade e coordinare con loro i piani per una operazione di vasta portata da effettuare sull’Altipiano di Arcinazzo . La notte precedente un aereo alleato, partito da Brindisi, aveva lanciato in prossimità di Trevi quattro paracadutisti - un italiano, un sergente americano e due inglesi- che avevano il compito di raggruppare i prigionieri sparsi nella zona e avviarli a scaglioni di 8-10 persone verso le linee alleate. Erano provvisti di una notevole quantità di viveri, di molti capi di vestiario, di molto denaro e di circa 100 paia di scarpe.
L’agente alleato di nazionalità italiana era «un giovane sui diciassette anni, biondo, grassoccio, con gli occhi arrossati», privo di documenti, che si faceva chiamare Bruno Brunetti, ma che si appurò poi essere un certo Bruno Castellani, nativo di Stradella nei pressi di Milano. Alcuni partigiani di Filettino, tra i quali Silverio Benassi, commissario prefettizio del Comune, e i due giovani di Meta, si incontrarono con il Castellani, ma ne ebbero una pessima impressione, specialmente quando seppero che a Trevi si era messo a fare «il bellimbusto» amoreggiando con una ragazza del posto e che accendeva imprudentemente fuochi notturni per le segnalazioni agli aerei alleati.
Infatti, come si vedrà in seguito, si trattò di un giovane poco raccomandabile, un avventuriero e anche un vile che non esiterà a rivelare tutto ai tedeschi, quando dopo pochi giorni fu catturato a Trevi, a differenza di quanto fecero gli altri tre paracadutisti che erano stati lanciati con lui, i quali si tolsero la vita pur di non cadere nelle mani delle SS.
Nonostante le riserve mentali da parte dei partigiani di Filettino e di Meta, il Castellani fu messo al corrente dell’organizzazione e dei piani che erano stati approntati e Faustino si accommiatò da lui con la promessa che si sarebbero rivisti a Meta dopo qualche giorno.
L'ARRESTO
Il primo maggio 1944 scattò la trappola tedesca contro i partigiani di Filettino, di Trevi nel Lazio e di Meta, dove appunto si trovavano i patrioti traditi dal Castellani.
All’alba di quel giorno Filettino e Trevi furono circondate da imponenti forze germaniche che procedettero all’arresto di molte persone, tra le quali il Benassi, il segretario comunale, alcuni carabinieri ed un prigioniero polacco che non era riuscito a fuggire per tempo, come invece avevano fatto i suoi compagni che avevano trovato riparo nei due paesi. I prigionieri furono poi condotti nelle carceri mandamentali di Tagliacozzo, in provincia di L’Aquila.
Per prendere i partigiani di Meta i tedeschi invece ricorsero all’astuzia. Quello stesso giorno, il primo maggio, Meta era in festa: si celebrava il matrimonio tra il figlio di un certo Fabbri, un romagnolo, vecchio anarchico, sfollato nel paese, ed una ragazza del posto , mentre i fratelli Durante, muniti di coccarda rossa nel petto, avevano intenzione di tenere un comizio per celebrare la festa dei lavoratori e coinvolgere la popolazione, ma le cose andarono ben diversamente.
Verso le undici della mattina arrivarono tre uomini che indossavano la divisa inglese, accompagnati dall’enigmatico paracadutista italiano, i quali chiedevano a tutti dove fosse il dottor Faust (Faustino infatti era studente in Medicina). Nel paese si diffuse subito un’aria di sospetto e di allarme. Da casa Durante, che si trova proprio in prossimità della piazza principale, fu notato l’arrivo dei quattro: ci fu una rapida consultazione di famiglia e si decise che proprio Faustino non si sarebbe dovuto far vedere, in quanto era l’unico conosciuto dal Castellani, mentre Mario e Bruno sarebbero usciti per sondare il terreno.
I due giovani, insieme al cugino Elio Pighetti, raggiunsero i tre stranieri e l’accompagnatore italiano, che intanto si erano spostati proprio in quella strada che qualche anno più tardi sarà intitolata ai due sfortunati giovani (Via Fratelli Durante). I presunti inglesi volevano sapere da Mario e da Bruno dove si trovasse Faustino, ma i fratelli concordemente rispondevano che non esisteva alcun fratello con quel nome. Dopo poco arrivò anche Concettina Pighetti, cugina dei due giovani, la quale si accorse subito che i tre misteriosi personaggi al di sotto dei pantaloni calzavano scarponi tedeschi. Avvisò del pericolo i due fratelli usando lo ‘ngiambrico, un incomprensibile gergo che i metesi avevano coniato quando nei secoli passati frequentavano come braccianti agricoli la campagna romana e che utilizzavano per difendersi dai caporali o da chiunque fosse considerato una minaccia per il loro gruppo.
Le insistenze dei tedeschi durarono fino al pomeriggio e sempre la stessa fu la risposta data dai fratelli, finché i finti inglesi non estrassero le armi e li arrestarono.
Intanto tutta la cittadinanza di Meta era stata messa in allarme e chi aveva i prigionieri nascosti in casa li fece fuggire. Faustino Durante con un fascio di legna sulle spalle andò a rifugiarsi nella soffitta della casa di un suo amico, mentre Giovanni Petricca, che si trovava a lavorare in un campo a sud di Meta, informato che era ricercato dai tedeschi, fece perdere per molto tempo le sue tracce.
Quando i due fratelli ripassarono davanti alla loro abitazione, seguiti dai tre tedeschi con le armi in pugno, Bruno disse alla madre: “Mamma, non ti preoccupare, andiamo via solo per un confronto”. Ma non tornarono mai più, né vivi, né morti.
Lungo il sentiero che conduceva a Civitella Roveto i tedeschi rilasciarono Elio Pighetti sembra per le insistenze dei fratelli Durante, anche lui tratto in arresto. Giunti a Civitella Roveto i due furono caricati su una camionetta e condotti nelle camere di sicurezza della gendarmeria e poi nelle carceri mandamentali di Tagliacozzo, allora situate negli scantinati del convento di San Francesco.
Il mattino seguente Faustino, travestito da contadino, partì con Fabbri per Roma e poco dopo venne arrestato a Cave (RM) sotto il falso nome di Leonardo Candela e portato dapprima sul fronte di Anzio a cavare trincee e poi nel campo di concentramento di Cinecittà, negli studi cinematografici. Di qui, dopo qualche giorno, riuscì a fuggire e a ricongiungersi con i genitori che intanto erano ritornati a Roma .
LE FEROCI TORTURE
Dopo qualche giorno di permanenza nelle carceri mandamentali, Mario e Bruno Durante, insieme ad altri prigionieri, tra i quali Silverio Benassi, commissario prefettizio di Filettino, furono condotti in una casa colonica distante qualche chilometro dall’abitato di Tagliacozzo. Qui i prigionieri furono strettamente legati con dei fili di telefono e anche in simili circostanze i fratelli Durante seppero dimostrare il loro altruismo. Poche settimane dopo la sua liberazione dalle mani dei tedeschi scrisse in proposito il Benassi, testimone oculare degli avvenimenti che si vanno narrando: «Questi due generosi figli d’Abruzzo hanno un’abilità straordinaria nello sciogliersi le difficili legature e non esiteranno mai a rischiare le rappresaglie naziste per alleggerire le sofferenze dei loro compagni; io stesso sono loro debitore di molti di questi e di altri atti».
Le sevizie a cui furono sottoposti i due fratelli furono enormi: gli aguzzini tedeschi volevano sapere da loro dove si celasse Faustino, ma loro rispondevano sempre che quel tal Faustino non esisteva.
Il Benassi fornì i particolari di quei tragici giorni: «E’ la volta di Mario Durante. Egli, dopo varie ore di interrogatorio, non viene neppure riportato tra noi: in un fienile di fronte è legato mani e piedi, non di rado sospeso per aria. A quante prove, a quante torture non è sottoposto! L’interprete dall’accento veneto è il suo maggior aguzzino, ma spesso l’altro interprete e altri gendarmi gli danno una mano. Purtroppo il fienile [dove avvengono le torture, n.d.r.] è di fronte alla nostra porta, sempre aperta, e Bruno, se anche non vede personalmente il fratello, vede però tutti i preparativi, tutti gli strumenti di tortura! Che pena! All’apparire del cane lupo che sta per essere lanciato contro il fratello legato, ha un lampo d’ira… Quale ira! Non avrei mai immaginato che i suoi occhi, sempre dolci, sempre sereni, potessero cambiare così d’un tratto!... Lo trattengo, cerco di distrarlo, anch’egli infine cerca di distrarsi, ma, per quanto si sforzi di non guardare, i suoi occhi vanno sempre da quella parte […]. Purtroppo le torture di Mario dureranno tre giorni interi: che cosa non soffre? Eppure mai un grido, mai un lamento!
Il giorno seguente sarà la volta anche di Bruno: ritorna, verso la mezzanotte, dall’interrogatorio, quasi irriconoscibile e –se anche viene portato tra noi- è legato mani e piedi ad una sedia. La corda gli cinge anche il collo in modo tale che non può fare il minimo movimento. Eppure l’unica sua preoccupazione è quella del fratello, che ritiene non mangi da due giorni […].
Anche la giornata seguente è riservata esclusivamente ai due fratelli Durante. Mario è interrogato sul luogo di tortura essendo impossibile il trasferimento: tra l’altro, ha un braccio fratturato in più punti, ed i piedi, le cui piante sono state frustate a sangue, talmente tumefatti che non può posarli».
La notte tra il 10 e l’11 maggio i tedeschi fecero una nuova irruzione in casa Durante a Meta, dove erano rimasti solamente i tre cugini: Nerina, Concettina e Leo Pighetti. Prelevarono solo gli ultimi due, poiché la prima finse di essere malata. Concettina e Leo furono condotti a Tagliacozzo e messi a confronto con Bruno: «di Mario poterono solo udire i gemiti provocati dagli aguzzini nazisti» . Narra Concettina: «Il confronto con mio cugino non durò più di dieci minuti. I tedeschi mi chiesero se conoscevo Faustino e dove fosse, ed io risposi, sempre con aria assente, che lo conoscevo e che era scappato a Cassino, e non lo avevo più visto». Concettina testimonia che Bruno nell’udire tali parole trasalì e impallidì, ma ella era convinta che i tedeschi fossero già in possesso di informazioni e di certificati dell’anagrafe di Balsorano, di Civitella Roveto o di Roma che attestavano l’esistenza di Faustino e ogni ulteriore negazione al riguardo avrebbe solo peggiorato le cose.
L’accanimento dei nazisti verso i fratelli Durante continuò ad essere feroce e aumentò, specialmente dopo il confronto con Concettina, proporzionalmente alla loro resistenza a negare l’esistenza del terzo fratello.
Continua Benassi: «Anche Bruno viene “sistemato” nel fienile, sospeso ad una trave per le sole braccia, legato in una maniera atroce, seviziato in tutti i modi: con spilli che gli si conficcano sotto le unghie dei piedi, con l’incendio dei peli lungo tutto il corpo ignudo, con flagellazioni ecc. E l’un fratello è costretto ad assistere alle torture dell’altro!».
Marcello Rubeo, che da piccolo abitava nella tristemente famosa casa colonica di Tagliacozzo, riferisce: «I tedeschi requisirono casa e fienile, evacuando la casa e mandandoci nei pressi del poligono di tiro, che si trovava in alto nella collina di fronte da dove spesso udivamo grida provenire dal fienile. Alcuni di noi tornarono alla casa, e ricordo che, da uno squarcio del fienile, vidi due giovani legati alle travi, uno di circa venti anni, l’altro con la testa reclinata sul petto, piena di lividi misti a sangue e del quale non capivo l’età, perché il volto era irriconoscibile».
Quando al Benassi fu chiesto quale fosse la ragione di tanta crudeltà nei confronti dei due fratelli, rispose: «Quell’accanimento in parte fu dovuto alla loro dignità e resistenza al dolore, che a quei torturatori appariva disprezzo, ed in parte fu dovuto al loro assoluto silenzio su ogni richiesta degli aguzzini».
«Chi non ha sofferto quelle sevizie – diranno un giorno a papà Durante gli scampati dalla camera di tortura di Tagliacozzo-, chi non è stato mai appeso per i polsi per ore ed ore, chi non ha mai avuto il fuoco sotto le piante dei piedi, non potrà mai capire come sia impossibile tacere sempre, negare sempre, non ammettere mai neanche un banale particolare […]. Partiti con l’accordo di negare “tutto” e “sempre”, essi sono arrivati fino all’ultimo rispondendo sempre –“no” “non è vero” “non so”-. Sono stati gli unici. Ed è per questo che li torturavano a quel modo».
Intanto si arriva al 18 maggio 1944, data dello sfondamento del fronte di Cassino da parte delle truppe alleate. I tedeschi nel frattempo avevano preparato un altro piccolo fronte a sud di Balsorano, all’ingresso della Valle Roveto, il cui scopo era quello di rallentare l’avanzata dei nemici e permettere loro una più sicura ritirata. Il fronte tedesco della Valle Roveto resistette per 15 giorni. All’arrivo di tali notizie i tedeschi di stanza a Tagliacozzo lasciarono il paese, portandosi dietro alcuni prigionieri, tra i quali il Benassi, mentre ne liberarono altri, tra i quali il famigerato Castellani. Lasciarono nella casa colonica, insieme ad alcuni soldati e agli interpreti, solamente i due fratelli Durante e due cognati di Roccasecca.
E’ molto probabile che proprio in quei giorni si fossero presentate ai prigionieri varie opportunità di fuga, ma la cosa non avvenne perché Mario era stato ridotto in condizioni tali da non reggersi più in piedi e Bruno non volle evidentemente abbandonarlo, decidendo di condividere la sua sorte fino al supremo sacrificio. «Il che dimostra a quali bassezze può giungere l’oppressore, ed a quali altezze l’animo dell’oppresso» .
LA TRAGICA SCOMPARSA
All’imbrunire di un giorno della fine di maggio del ‘44 (doveva essere il 27, oppure il 28) i quattro prigionieri furono prelevati e caricati su un camion. Bruno dovette portare in braccio Mario, impossibilitato a camminare per le fratture e per le lesioni ai piedi che gli avevano procurato gli aguzzini nazisti. Il camion partì per destinazione ignota e tornò il mattino seguente privo del carico della sera precedente. L’autista disse solamente che i prigionieri erano stati uccisi nella campagna di Avezzano e che qui erano stati sepolti. Tuttavia la tomba degli sfortunati fratelli e dei due cognati di Roccasecca non fu mai trovata.
Finita la guerra, Antonio e Faustino si misero alla ricerca dei due congiunti. Speravano fossero stati deportati in Germania: furono esposti dei cartelli nelle stazioni ferroviarie di confine, furono fatti pubblicare annunci sulla stampa quotidiana, furono contattati gli ex deportati tornati dalla Germania, furono fatte ricerche negli Stati esteri dai diplomatici italiani, ma dei due fratelli nessuna traccia.
Faustino riuscì a sapere tuttavia che i torturatori di Tagliacozzo erano due altoatesini, un certo Piok di Bolzano e un altro individuo di Merano. Il padre subito inoltrò denuncia al Procuratore della Repubblica di Avezzano, competente per territorio.
Passarono alcuni anni di assoluto silenzio, finché, un giovane magistrato, da poco giunto in quella Procura, ricevuta l’ennesima richiesta di notizie sull’andamento delle indagini, prese visione della pratica e notò che si trattava di un fascicolo polveroso, ma anche voluminoso, che conteneva anche i verbali degli interrogatori dei due altoatesini, effettuati per procura nel 1948, ai quali non era stato dato alcun seguito. Il giovane magistrato invece incriminò il Piok, lo fece arrestare e lo fece rinchiudere nelle carceri di Avezzano. Tuttavia la sua linea di difesa fu che durante gli interrogatori egli fungeva solo da interprete e non da torturatore dei giovani e non conosceva nemmeno il luogo della loro sepoltura, in quanto la sera del loro massacro egli non era salito sul camion. Neppure il confronto dell’altoatesino con alcuni ex prigionieri di Filettino e di Trevi, che erano rinchiusi con i Durante a Tagliacozzo, produsse i frutti sperati, per cui il Piok fu scarcerato e poté tornare tranquillamente alla sua città.
Quando Silverio Benassi, nell’agosto del 1944, all’indomani della sua liberazione dalle mani dei nazisti, sottopose il suo manoscritto al padre dei due fratelli per una imminente pubblicazione, Antonio Durante ebbe ad esprimersi in questi termini: «La lettura di quello che hai scritto del mio Mario e del mio Bruno e la narrazione di quello che per ora non era prudente scrivere di loro [il genitore sperava ancora di riabbracciare vivi i suoi figlioli, n.d.r.] hanno avuto una grande virtù: hanno temprato il mio grande dolore in un senso di orgoglio. Ora li so più forti di quanto li pensavo; prima li amavo, ora li amo quali figli e li stimo come uomini. Vedo che le mie ventennali sofferenze [per le persecuzioni poliziesche a cui fu sottoposto durante il ventennio fascista, n.d.r.], serenamente sopportate, sono state per essi una scuola efficace. Che Dio me li renda ed io potrò considerare degnamente chiuso il mio ciclo».
Antonio Durante sopravviverà a questi tragici eventi per molto tempo e morirà il 13 ottobre 1986 alla veneranda età di 95 anni, sua moglie Violetta, mai riavutasi dal dolore per la perdita dei due figli, morirà nel 1981 all’età di 89 anni e Faustino Durante, dopo aver sposato la sorella del gappista, medaglia d’argento, Rosario Bentivegna (recentemente scomparso), e dopo esser divenuto un eminente Professore di Medicina Legale presso l’Università degli Studi di Roma (eseguì l’autopsia sui corpi di Pier Paolo Pisolini, Giuseppe Pinelli, Alexandros Panagulis ecc.), morirà il 3 dicembre 1985 all’età di 62 anni. Tutti e tre riposano nel piccolo cimitero di Meta.
Fonti Archivistiche e Bibliografiche
• Archivio Centrale dello Stato, Casellario Politico Centrale, busta 1871;
• Archivio di Stato di L’Aquila, Questura, categoria A8, busta 83;
• Archivio Comune di Balsorano, atti di nascita;
• S. BENASSI, 44 giorni nelle mani dei nazisti, Tipografia Rossi, Roma, 1944;
• G. BLASETTI, I 270 giorni dell’occupazione tedesca di Tagliacozzo, Grafiche Cellini, Avezzano;
• A. DURANTE, Un Uomo di Scuola, Japadre Editore, L’Aquila, 1982;
• E. NASSI, I fratelli Durante: una bella storia nel cuore di Tagliacozzo, in Patria Indipendente, 30 ottobre 2005;
• N. PIGHETTI, Estate di guerra 1943, Roma, 2003;
• D. ARETA, E. DI GIANFILIPPO, Stücke, Due Marsicani nella Resistenza, Edizioni dell’Urbe, Roma, 1991.