L’omicidio di Pietro Masci

L’OMICIDIO DI PIETRO MASCI



Giovanni De Blasis

Antonio Rosini nel suo libro Giustizia Negata ha già riportato i documenti riguardanti l’omicidio del giovane Pietro Masci, comprese le indagini che i Carabinieri di Capistrello condussero nel 1946, due anni dopo il tragico evento. Nell’Archivio di Stato dell’Aquila è stato trovato di recente altro materiale, redatto subito dopo la morte del giovane, che contiene, oltre al rapporto dei Carabinieri, le arroganti e false giustificazioni prodotte dagli assassini tedeschi.
Pietro Edoardo Masci, figlio di Augusto e di Di Domenico Giovanna, era uno studente di Capistrello, che nel giugno del 1943 avrebbe dovuto compiere 19 anni. Da quando le truppe tedesche avevano occupato il suo paese, un sergente della Wehrmacht, tale Joseph Breitner, si era installato nella sua abitazione, portandosi dietro un piccolo baule, chiuso con un lucchetto, in cui, a suo dire, c’erano tabacco, pacchetti di sigarette, acquavite e cioccolate.
Il giovane Masci, un po’ per la dimestichezza che aveva raggiunto con l’ospite della sua casa, un po’ per la curiosità, molto per la fame che lo tormentava, in due occasioni (il 6 e l’11 marzo 1943) aveva forzato il baule e aveva rubato qualche sigaretta e qualche cioccolata.
Il 20 marzo, intorno alle ore 19, il Masci ripeteva di nuovo l’operazione, ma fu sorpreso dal sergente che lo condusse immediatamente al comando tedesco, retto allora dal tenente Haing Nebgen. Durante l’interrogatorio il giovane confessò di aver rubato a più riprese dal baule del sergente delle sigarette e del cioccolato. Erano presenti, oltre al derubato e al comandante del presidio, un certo D’Armoneco Enrico di Bolzano, che fungeva da interprete, e un altro giovane di Capistrello, Giovanni Barbati, arrestato con la stessa accusa, il quale però si professava innocente.
Riferirà più tardi ai carabinieri il Barbati, scampato per miracolo dalla fucilazione, che durante l’interrogatorio il Breitner si adoperò molto presso il comandante del presidio per ottenere la condanna a morte dei due giovani, mentre il tenente, d’accordo con l’interprete D’Armoneco, intendeva punire i due solo con delle scudisciate. Ciò però non deve indurci a credere che il Nebgen fosse un tenero di cuore, in quanto per le sue malefatte gli abitanti di Capistrello lo consideravano “un vero criminale” e gli avevano affibbiato il soprannome di la “Tigre”.
Fatto sta che i due giovani furono condannati a morte e, intorno alle nove di sera, furono condotti lungo la strada mulattiera che da Capistrello conduce a Pescocanale. Giunti a circa 400 metri dall’abitato, i giovani furono piazzati davanti al plotone di esecuzione, ma, mentre i soldati si accingevano a caricare i fucili, il Barbati si gettò nei dirupi sottostanti e riuscì a fuggire, favorito dall’incipiente oscurità e inseguito da numerosi colpi d’arma da fuoco. Il povero Masci invece fu fucilato sul posto con dei colpi che gli fracassarono il cranio. Una testimone, incaricata di rimuovere il cadavere, il mattino seguente notò che al giovane erano stati strappati il pene e i testicoli evidentemente con un filo di ferro a forma di cappio e presentava sul corpo i segni delle percosse subite durante l’interrogatorio.
Facevano parte del plotone d’esecuzione l’interprete D’Armoneco di Bolzano, un certo Angelo e un certo Ferdinando, anche loro di Bolzano, un non meglio precisato soldato tedesco di nome Martino e un soldato polacco di 23 anni di nome Doltendoe Michele.
Nei giorni seguenti i Carabinieri di Capistrello relazionarono sull’accaduto e inviarono il verbale al Prefetto della Provincia Manti, in quale a sua volta lo girò all’Ufficio di Collegamento con le Autorità Germaniche del Ministero degli Interni.
Una sbrigativa inchiesta fu condotta dal Comando germanico di Avezzano, competente per territorio, il quale, dopo aver raccontato gli avvenimenti, forniva il seguente sconcertante e falso resoconto: “… Dopo una interrogazione il Masci doveva essere trasportato nelle carceri di Tagliacozzo. Durante il trasporto egli tentò di fuggire. Intimato l’alt non si fermò; per questo il soldato che lo aveva in consegna fece uso dell’arma uccidendolo”. Tutto falso! La strada che conduce a Tagliacozzo si trova in tutt’altra direzione rispetto al luogo dove fu immolato il giovane.
Il redattore dell’inchiesta tedesca, sicuramente imbeccato dal Nebgen, concludeva infine: “Il soldato aveva diritto di adoperare l’arma, poiché il Masci con la fuga intendeva sottrarsi alla meritata pena. Siccome il soldato ha agito conformemente alle prescrizioni così non c’è alcun motivo per una punizione”.
Dunque, per l’omicidio del giovane Masci si conoscevano i nomi e in qualche caso persino gli indirizzi dei mandanti e degli esecutori materiali (Nebgen viveva vicino a Dortmund), c’erano i testimoni, c’erano i rapporti dei carabinieri, ma nulla è stato fatto da parte delle Autorità Italiane, tantomeno da quelle tedesche che, come detto sopra, avevano già assolto i responsabili appena commesso l’omicidio.
L’ennesimo caso, come tanti altri, di quella che Antonio Rosini chiama appunto Giustizia Negata.